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martedì 16 dicembre 2008

Da sempre i nostri sistemi religiosi insegnano a gestire situazioni al limite (e oltre) l' umano raziocinio. Non solo non siamo tenuti a sperimentare nulla ma ad accontentarci delle briciole delle esperienze dei santi e dei patres (che pure diventarono tali avendo sperimentato capacità e trascendenze ben oltre lo sciamanesimo pagano, e si veda S. Francesco), siamo anche congelati in una atroce, infame e chiassosa attesa, in cui fidarsi alla cieca di eventualità. Nella fede non c'è una grande saggezza, poichè credere sulla base di meri presupposti o magari lontani sentori è un amore per lo spirito non solo pregiudiziale, ma secco, scarno e arido. Solo chi metabolizza dentro di sè qualcosa, la può amare. Nessuna preghiera, nessun cd con "brainwaves", nessun limpido mantra potrà essere la porta d' accesso in automatico allo spirito. Si tratterebbe di consumismo! Inconsciamente vorremmo pigiare un tasto e da una console ci procuriamo e garantiamo il cielo.
Questo meccanismo del "fare" in senso stretto può finire paradossalmente per ingigantire la stessa percezione illusoria della distanza dallo spirito. Quindi non vi si accederà mai!
Noi sviluppiamo pertanto una saggezza ipotetica e non consapevole; e intanto il nostro corpo grida e si agita come un bebè affamato e disperato.
Chi si accorge di questo bebè, o si rifugia e si autocensura in un pratico massacro prostatico di penitenze e secche infelicità e insoddisfazioni (fintanto che non nuoce a qualcunaltro) o asseconda ogni sorta di impulso e pensiero indiscriminatamente oltre ogni discernimento facendo di quegli impulsi il vero cocchiere della propria vita, vivendo nella confusione e nella continua ricerca di autogiustificazioni.
"Scegliete la via stretta!", ma anche "Misericordia voglio, non sacrificio". Allacciati! Ma no, slacciati. Ma cosa si deve seguire?
Colui che realizza se stesso, non realizza in realtà questo se stesso come una identità esclusiva, ma si realizza all' interno di una totalità consapevolemte percepita. Non c'è traccia di lotta nel vincente; chi ha visto mai un condottiero che, dopo aver vinto la sua battaglia, si perde in altri inutili combattimenti, infierendo su un cadavere già gelido? Chi realizza la propria beatitudine infatti non ha da lottare o da sforzarsi come un cavallo ed anzi più lo farà e più questa bestia sarà indomabile. Non ci sarà lotta, poichè nella sua armonia raggiunta, nella sua età dell' oro, vivrà già naturalmente sotto le nuove frequenze.
Cerca la felicità e la beatitudine, e saranno i tuoi insegnanti. Il primo movimento dello spirito è verso la felicità.
Due link utili, accompagnati da discernimento:
http://lostregonediassisi.blogspot.com/
http://www.guruji.it/marmorto.htm da cui scaricare il file "floppy.zip"

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