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Robert Schumann – Sinfonia n. 4 in re minore op. 120
L'inizio di quella svolta compositiva che con la Prima Sinfonia avrebbe aperto la strada
all'entusiasmo creativo dell'"anno sinfonico", il 1841 (due Sinfonie compiute, una terza abbozzata,
oltre alla "Sinfonietta" Ouverture, Scherzo e Finale e alla Fantasia per pianoforte e orchestra in La
minore, che sarebbe più tardi diventata il primo movimento del Concerto per pianoforte), avviene in
Schumann sotto un duplice impulso, nel segno di un allontanamento tanto dal
modello dell'ultimo Beethoven quanto dalle "divine lunghezze" di
Schubert. Da un lato vi è la volontà di perseguire una concezione unitaria del
processo sinfonico per via essenzialmente monotematica, con un procedimento
ciclico nel quale le trasformazioni di una figura fondamentale, quasi motto
della composizione, si generano l'una dall'altra, senza contrapporsi;
dall'altro lato agisce il desiderio di sperimentare una sintassi
poetico-musicale di segno simbolico, contemperando aneliti e slanci in una
fioritura estemporanea di divagazioni fantastiche dal timbro accesamente
romantico ma tendenti all'eloquenza della musica assoluta. La Prima Sinfonia è da questo punto di
vista esemplare: il supporto programmatico previsto all'origine (una poesia
"romantica" dedicata alla primavera) venne abbandonato allorché i
riferimenti extramusicali si chiarirono in elementi compositivi: quel che
rimase da ultimo fu la disposizione ciclica adombrata dal programma, affilata
nella logica formale e materializzata nella traduzione sonora.
La genesi della Sinfonia
in Re minore fu assai più problematica, tanto da abbracciare di fatto
l'intero periplo dello Schumann sinfonista. Iniziata il 30 maggio 1841, fu
portata a compimento il 9 ottobre dello stesso anno ed eseguita per la prima
volta il 6 dicembre 1841 al Gewandhaus di Lipsia: non sotto la direzione del
titolare Mendelssohn, che dell'amico aveva già presentato il 31 marzo con
grande successo la Prima, bensì del
Konzertmeister David. Essa ottenne consensi assai modesti: anche perché oscurata
– e la cosa non deve sorprenderci troppo considerando la moda del tempo – da
una esibizione a due pianoforti, avvenuta la stessa sera, di Franz Liszt e
Clara Schumann, impegnati a suonare l'Exameron-Duo
(una serie di variazioni virtuosistiche su un tema di Bellini composte da
sei allora celebri pianisti parigini). Schumann ritirò la partitura, già pronta
per la stampa, mettendola da parte. In seguito nacquero e furono pubblicate la Sinfonia n. 2 in Do maggiore op. 61
(1846) e la Sinfonia n. 3 in Mi bemolle
maggiore op. 97 detta "Renana" (febbraio 1851). Fu a questo
punto, nel corso del 1851, che la partitura della Sinfonia in Re minore venne ripresa in mano e rielaborata. In
questa nuova veste venne presentata al Festival del Basso Reno di Düsseldorf
nel 1853 e, stampata subito dopo a Lipsia, divenne la Quarta Sinfonia con il numero d'opera 120. Fu in pratica l'ultimo
grande successo di pubblico ottenuto in vita da Schumann come direttore
d'orchestra e compositore.
Delle quattro, la Sinfonia
in Re minore è senza dubbio la più sperimentale e ai nostri occhi moderna.
Sul frontespizio della partitura Schumann indicò che il
lavoro consisteva di Introduzione, Allegro, Romanza, Scherzo e Finale "in
un solo movimento"; al tempo della revisione, in parte correggendosi,
pensò di introdurre il titolo "Fantasia sinfonica", che gli sembrava
più adatto a un'opera tutta contesta di legami tematici tra un movimento e
l'altro e senza interruzione fra gli stessi: un po' come aveva fatto
Mendelssohn nella sua Sinfonia n. 3 "Scozzese"
(1842). Per il resto la revisione si appuntò soprattutto sulla strumentazione,
rinvigorendola e, secondo alcuni, appesantendola. Le presunte inefficienze e
debolezze di Schumann come orchestratore furono denunciate dalla critica già lui
vivente (e non solo dalla critica: l'ammiratore Brahms ne condivideva molte
riserve, e Mahler ritenne addirittura necessario intervenire sull'orchestrazione);
oggi ci paiono non soltanto tratti idiomatici del linguaggio schumanniano ma
anche una conquista che avrebbe lasciato un'impronta: nella Quarta, soprattutto nella concezione
della prima versione originale.
1. Moderatamente
lento, Vivace
L'intero primo movimento si basa sullo sviluppo di una frase
tematica esposta nell'Introduzione (Moderatamente lento) da violini secondi,
viole e fagotti su un pedale sospeso di dominante e poi estesa a tutta
l'orchestra con densità polifonica. E' una frase aperta e distesa, che procede
per gradi congiunti con pensosa gravità, impennandosi poi nei primi violini in
un inciso più mosso, che attraverso uno "stringendo" conduce
direttamente al tempo Vivace: è questo inciso (quartine di semicrome
alternativamente staccate e legate) a costituire il materiale tematico di tutto
il movimento. Più che di un tema nel senso classico, si tratta di una figura
aperta, slanciata e piena di energia, resa ancora più dinamica dalle sincopi e
suscettibile di continue, minute variazioni. Essa occupa tutta l'esposizione.
Nello sviluppo, che presenta accenni di trattamento fugato,
le viene contrapposta una linea melodica di marcata contabilità e dolcezza, che
attenua ma non interrompe la foga di una corsa che sembra, nel suo anelito, non
doversi fermare mai.
2. Romanza:
Moderatamente lento
E invece il discorso si sospende e, come voltando pagina,
conduce direttamente in tutt'altro clima espressivo. La parentesi lirica della
Romanza è l'altra faccia del mondo poetico di Schumann: quella intima,
delicata, tenue. L'oboe raddoppiato dai violoncelli intona in La minore una
melodia malinconica, quasi trasognata, che viene richiamata alla realtà da una
ripresa variata del tema dell'Introduzione (archi). Poi si dispiega in Re
maggiore una arabescata melopea in terzine del violino solo, d'infinita dolcezza,
che dona luce e consolazione. La ripresa del tema in minore dell'oboe chiude
nostalgicamente la breve ma intensa pagina.
3. Scherzo (Vivace),
Trio
E la corsa riprende, ancora più fremente, nello Scherzo,
squassata dalle ondate degli archi su interiezioni "sforzate" dei
fiati. Anche qui il legame tematico con il primo movimento è evidente: Schumann
lavora circolarmente su un materiale monotematico, mostrandocene le metamorfosi
e trasformandone il carattere timbrico e ritmico.
Nel Trio ritorna la figura arabescata della Romanza, ora
però integrata nella nuova scrittura orchestrale e armonica (da Re minore a Si
bemolle maggiore). Si ripete lo Scherzo, poi nuovamente il Trio. A questo
punto, quando ci si aspetterebbe la definitiva ripresa dello Scherzo secondo la
consueta formula A - B - A - B - A, ecco la sorpresa...
4. Lento, Vivace, Più
presto
In "pianissimo", su atmosfere brumose, tremolanti,
sospeso sulla dominante e carico di presagi, attacca in modo inatteso un Lento
nel quale la nota figura in semicrome dei violini primi, leggera come un
soffio, è violentemente contrastata da drammatici appelli di corni, trombe e
tromboni, in "crescendo" e "stringendo". Questa nuova
"Introduzione", che riafferma il tratto ciclico della Sinfonia,
immette senza soluzione di continuità nel veemente e decisamente liberatorio
tripudio del Finale, sempre più incalzante, da ultimo quasi colmo d'ebbrezza..
L'analogia con il passo corrispondente del Finale della Quinta Sinfonia di Beethoven non può
sfuggire. Non vi è però più niente di eroico e di fatale in questo
rispecchiamento formale: la luce che squarcia di colpo le nebbie di un
paesaggio ossianico, che è anche un paesaggio-simbolo dell'anima romantica, non
scandisce il battere di un destino, addita una meta lontana, all'infinito.
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